Mokpo

Ostinato come il marmo, cristallino, inflessibile, brillante, freddo eppure caldo come il marmo. Park Eun Sun nasce nel 1965 nel meridione della Corea del Sud, nella città portuale di Mokpo. In queste terre, in tempi antichi, venivano esiliati quei nobili e politici sgraditi al potere. Qui, i confinati trascorrevano le loro giornate di forzata inattività componendo versi e dipingendo. La guerra civile coreana è terminata da dodici anni. La popolazione tenta di uscire dalla povertà. Sotto la regia di un governo forte, la vita quotidiana è scandita da slogan che inneggiano a rialzarsi: “possiamo vivere bene”, “possiamo farcela”. Dagli altoparlanti, musica edificante, sui muri, parole di coraggio e parimenti motti contro il regime comunista di quel nord che si è spaccato dalla penisola, portando con sé lutti e ferite non rimarginate. I genitori di Park Eun Sun sono nel commercio, i nonni sono contadini. La sua famiglia non versa esattamente nell’indigenza ma è la nazione tutta ad essere in bilico, sulla soglia della povertà. A scuola, gli insegnanti s’informano: la vostra famiglia vive in affitto? Avete degli elettrodomestici? E tu, cosa vuoi fare da grande? E Park Eun Sun risponde, immancabilmente: voglio fare il pittore. Nessuno, in casa, è artista. Ma il bambino è dotato e si fa notare, tanto che dopo avere ornato la propria aula, lo mandano anche nelle altre classi, per abbellirle con disegni e dipinti. I messaggi sociali e politici hanno bisogno di immagini e di bella calligrafia: il nostro allievo si può permettere talvolta di non brillare in alcune materie, perché comunque i professori lo tengono in palmo di mano, per questo suo talento speciale.

L'arte è un lusso

L’arte è però un lusso che i Park non possono permettersi. Alle scuole medie, Eun Sun riesce ancora ad esercitarsi, nonostante il parere contrario dei suoi genitori (perché dipingere... “non è un lavoro, e per coltivarlo come hobby ci vuole tempo e denaro”). Caso vuole che l’allievo abbia un professore di arte che è un vero pittore... Insegna per vivere (e forse non lo fa particolarmente volentieri): testardo e tutt’altro che amabile, si accorge però del talento del bambino e lo sprona. Arriva addirittura a sovvenzionarlo, con una sorta di borsa di studio, sottobanco, senza che la famiglia dello studente lo venga a sapere. Quando inizia a frequentare il liceo, il divieto dei genitori si fa però perentorio. Nel corso dell’intero primo anno di studi superiori, Park Eun Sun non dipinge neppure un quadro. La perdita di contatto con la materia creativa gli sottrae energie, cade in depressione e il suo rendimento scolastico ne risente marcatamente. La crisi rischia persino di compromettere la chance di accedere poi all’università. Madre e padre capitolano, accettano l’idea che il loro figlio ambisca a una facoltà d’arte e lo iscrivono a una accademia privata, affrontando non pochi sacrifici, affinché egli recuperi il tempo perduto. Park Eun Sun, liceale, non è che prediliga la pittura alla scultura: semplicemente, quest’ultima non la conosce, non l’ha mai affrontata e dunque al momento opta per i pennelli. Vivere in una piccola città del sud, negli anni ’70 e nei primi ’80, significa rischiare di non avere gli strumenti, di non poter acquisire una preparazione adeguata per poi potere affrontare l’università. Nelle lunghe vacanze invernali dell’anno scolastico coreano, il ragazzo si sposta a Seoul, per affinare la tecnica, frequentando una delle accademie della capitale. Nella penisola asiatica, tutt’oggi, lo scoglio più grande per uno studente è proprio l’ammissione all’università. Il fratello maggiore di Eun Sun ha già provato più volte a superare l’esame per accedere all’università, con notevole dispendio economico da parte della famiglia. È quindi fondamentale che il Eun Sun entri alla prima, perché per lui, verosimilmente, non ci saranno seconde possibilità. Sceglie allora di tentare l’esame per accostarsi al ramo didattico della facoltà d’arte, anche perché – pensa – “mal che vada, posso sempre vivere insegnando”.

A Seoul

Cercare fortuna all’estero: in molti, non appena in possesso di un modesto capitale, optano per lasciare il Paese. Così ha fatto lo zio paterno di Park Eun Sun, cedendo ai fratelli una piccola impresa a Seoul. Nel frattempo, per i genitori di Eun Sun, il lavoro a Mokpo diventa sempre più difficoltoso e meno redditizio. Decidono allora di trasferirsi nella capitale. Qui il business inaugurato dal parente non funzionerà ed i Park apriranno una trattoria, ma gli affari faranno comunque fatica a decollare. Eun Sun è al principio del percorso universitario e però comprende presto che non può funzionare: serve che lui contribuisca all’economia della famiglia, non che rappresenti solo un costo. Avendo iniziato le scuole un anno prima del consueto, conta di fermarsi e assolvere al servizio militare (che in Corea all’epoca dura un triennio), senza perdere troppo terreno, anagraficamente, rispetto ai suoi futuri colleghi. I genitori sono contrari, ma il ragazzo ha ormai preso la sua decisione. Interrompe gli studi e aiuta la propria famiglia: lavora ovunque si presenti occasione, come insegnante in accademie private, a Seoul ma anche a Mokpo, prestando servizio anche come manovale. Alla fine, al militare lo richiamano dopo ben due anni. E per un ulteriore triennio, assai duro, riesce a dipingere solo nei pochi spazi di libertà concessi. Rientrato, s’accorge subito che i genitori hanno ancora bisogno di lui... Serve un aiuto in trattoria. Dunque li assiste, sia nella pratica quotidiana, sia reinventandone gli interni del locale. Ma nel suo cuore, una voce ripete: “devi fare qualcosa per la tua vita”.

Ricominciare

Spiazzando la madre e il padre, abituati ormai ad avere il supporto del figlio, Eun Sun decide di tornare all’Università. Cerca di dare una mano, in trattoria, nei ritagli di tempo, ma la priorità d’ora in poi sarà lo studio. Dopo oltre cinque anni si iscrive nuovamente, non senza difficoltà inattese: in Corea, all’epoca, le proteste studentesche contro il governo sono molto accese (e violenta è la repressione). Non di rado, studenti fuori corso riprendono gli studi per poter poi diffondere idee ribelliste e guidare le proteste. Park è sospettato di essere tra quelli, dunque viene ammesso dopo molte insistenze e verrà puntualmente spiato, lungo il suo percorso di studi, come egli stesso verrà a sapere molti anni dopo. A questo punto, finalmente, il giovane artista di Mokpo scopre la scultura. Al secondo anno la facoltà prevede la possibilità di scegliere un ramo specifico e Eun Sun, nulla conoscendo di quest’ambito artistico, eppure sentendosene fortemente attratto, lo affronta. Due professori, in particolare, Inkyum Kim e Youngwon Kim, segnano tale delicata fase di apprendimento. Il primo si occupa di astratto, il secondo di figurativo. Hanno approcci diversi e tra loro non corre buon sangue. Ma Eun Sun li prende a modello, cerca di assomigliare a loro come fa un bambino con i propri genitori. Verso la fine degli studi, verifica in sé una propensione per l’astratto... Riprodurre la realtà, in qualche modo gli sembra una strada più facile e meno stimolante, mentre viceversa scolpire senza modelli parrebbe la via più giusta per individuare un proprio linguaggio.

Kyung Hee

È stata una sua studentessa. Adesso è all’ultimo anno di università, mentre lui è al primo. Sembra un romanzo, invece è semplicemente il destino che si manifesta e propone segni da codificare. Facciamo un passo indietro: Eun Sun ha interrotto l’università per non pesare economicamente sulla propria famiglia. Viceversa, vuole sostenerla e cerca lavoro. Da Seoul si sposta temporaneamente nella natale Mokpo, per insegnare pittura in una accademia privata. Qui conosce, tra i tanti ragazzi che la frequentano, anche la liceale Kyung Hee, che sul momento egli non nota. Dopo qualche mese, Park fa i conti e comprende che l’occupazione lo assorbe troppo e non gli rende abbastanza: lascia allora l’accademia e opta per lavori meno intellettuali ma più redditizi. I ragazzi dell’accademia però vogliono che sia lui a seguirli e si rifiutano di proseguire a frequentarla senza quel giovane professore. Park si lascia convincere, torna nuovamente a Mokpo e decide di seguire i propri studenti, sia quelli del secondo anno (come Kyung Hee), sia quelli che devono sostenere l’esame per l’università. Adesso sì, guarda con altri occhi all’allieva compaesana: c’è in lei un misto d’ingenuità e di solidità materna che lo attira. Ma la situazione non permette, eticamente, alcun avvicinamento e il rapporto continua ad essere quello di docente/allieva. Terminato l’anno scolastico Park rientra a Seoul e si cimenta in tanti mestieri. Nel corso delle vacanze invernali dell’anno seguente, i suoi ex allievi del penultimo anno, pronti oggi a sostenere gli esami per l’università, sono a Seoul per approfondire gli studi. Contattano Park, il loro ex professore, e tra loro c’è anche Kyung Hee. Ma il servizio militare separa nuovamente i due. In licenza, Eun Sun viene a sapere che quella ragazza che era stata sua allieva si è iscritta proprio nell’università che lui aveva interrotto... Accarezza l’idea che lei l’abbia voluto seguire, ma non la contatta. Non lo farà neppure quando, terminato il lungo servizio di leva, trascorrerà qualche mese aiutando i genitori nella trattoria di famiglia. Finalmente la cerca, quando riprende gli studi. Lei è all’ultimo anno, mentre lui, suo ex professore, è nuovamente al primo. Sboccia l’amore e Park, dopo un breve fidanzamento, chiede a Kyung Hee se, nonostante la situazione economica malcerta della propria famiglia, nonostante un futuro senza garanzie, lei sia disposta a sposarlo. La sua ex allieva accetta, ad una condizione: il suo futuro marito deve smettere di fumare. E quel giorno Eun Sun spegne la sua ultima sigaretta.

Sognando un altrove

Park inizia a lavorare con la pietra naturale. Scolpirla gli trasmette un senso di pace. In Corea, quella che si può più facilmente rintracciare è il granito. Il metallo chiede saldature, il legno chiede coloriture, mentre il granito reclama solo che venga sottratto materiale fino alla forma desiderata. Avvicinandosi alla laurea, lo studente di Mokpo deve decidere se continuare con un biennio di dottorato oppure iniziare a lavorare. Sui giornali, nel frattempo, le notizie dei primi connazionali che hanno tenuto mostre all’estero, oppure che tornano dopo essersi perfezionati fuori dalla Corea... Tra gli artisti, si vocifera d’un luogo lontano, in Italia, dove Michelangelo aveva trovato i marmi per i suoi capolavori. Eun Sun e Kyung Hee ragionano sul loro futuro. Lei gli propone: perché non andare in Italia? Si fa strada l’idea di espatriare, di mettere da parte quanto più possibile, di non concedersi alcun regalo di nozze e risparmiare per poter studiare a Carrara, nell’eldorado del marmo. Un luogo di cui i due ragazzi sanno pochissimo, quanto basta però: marmo, ovunque, e praticamente nient’altro, nessuna distrazione. Un luogo di scultori, una località minuscola, se paragonata a Seoul, dove non devi impazzire per trovare gli strumenti di lavoro, dove il marmo costa meno ed è di qualità... Il pensiero di Eun Sun, allora come oggi, non ammette mezze misure: “il tempo è oro”. Se il blocco di marmo è quello che gli serve, non perde tempo a mercanteggiare o a cercare alternative, lo acquista perché così non perde tempo, e sarà tempo guadagnato, che investirà nelle sue opere. Kyung Hee in Corea, dopo la laurea, ha aperto una piccola accademia privata per insegnare pittura ai bambini. Lascia il lavoro e i due diventano una squadra. L’anello che li unirà sarà un finto diamante: il denaro serve per un loro progetto più grande.

I primi anni in Italia

Nel 1993, poco dopo essersi sposati, i due giovani si trasferiscono dall’altro lato del mondo. Eun Sun ha ventotto anni. Sceglie l’apprendistato in un laboratorio di lavorazione del marmo e sulle prime decide di ignorare la propria esperienza professionale pregressa, proprio per poter assorbire meglio ciò che può imparare dall’Italia. Una strategia, questa, che comprenderà presto non essere vincente. Infatti, dopo otto mesi, il blocco creativo è totale. Non riesce a trovare la propria voce, la propria strada espressiva. Si ferma, smette di scolpire, per tre mesi trascorre le proprie giornate riflettendo e passeggiando lungo la Versilia. Poi capisce: è il presupposto ad essere errato. Buttare al vento ciò che fatto in Corea significa rinnegare la propria storia. In Italia, probabilmente, non è venuto per imparare ma per lavorare, per esprimere la propria arte. E la propria arte già s’è intravista, negli ultimi mesi da universitario, quando ha iniziato a dar forma alla materia, a costruire, spaccando... In Italia, al tempo, molti suoi connazionali cercano di ispessire il curriculum, senza preoccuparsi troppo del resto, poiché prioritari sono quei titoli che poi, in patria, permetteranno loro di accedere alla docenza universitaria. Negli anni a venire, dalla Corea arriveranno a Park richieste, in tal senso: una prima volta nel 2005, una seconda più di recente. Soprattutto in occasione della prima offerta, fa fatica a decidere, ma poi rifiuta... Perché l’insegnamento è un’attività totalizzante, e lui vuole essere artista a tempo pieno.

Fuori dal coro

I genitori di Eun Sun speravano in un futuro migliore, per il loro figlio artista. I genitori di Kyung Hee speravano in un futuro migliore, per la loro figlia e per il genero. Park sa bene di non aver corrisposto alle loro aspettative e s’accolla la fatica psicologica che ne consegue. L’importante è che sua moglie sia dalla sua parte. E Kyung Hee lo è, totalmente, complice di un progetto di vita intrapreso, anche nelle difficoltà, nelle ristrettezze che si trovano, per una decina d’anni, a dover affrontare. Park oggi guarda a quegli anni difficili: se sua moglie gli avesse fatto pesare i problemi economici, probabilmente l’unione non avrebbe retto, o lui sarebbe tornato in Corea per lavorare. Ma Kyung Hee crede in suo marito, anche nelle sue scelte più fuori dal coro, come il non partecipare a mostre mediocri o collettive, non accettare compromessi, non coltivare amicizie interessate, utili alla professione. Il suocero, dalla patria lontana, vuole mandare dei soldi per supportare gli sposi e Park rifiuta bruscamente l’aiuto. Vuole farcela da solo. E ce la farà, anche se non riuscirà a mostrare il proprio successo al padre di sua moglie, il quale morirà troppo presto. Senza Kyung Hee, Eun Sun, per sua stessa ammissione, non sarebbe oggi l’artista che il mondo conosce ed apprezza. L’aiuto, costante e fondamentale, è giunto in molteplici modalità: con una costante generosità, con il silenzio dapprima, con i consigli poi, e con un’estroversione che bilancia il carattere schivo del marito. “Perché mi hai sposato, perché hai scelto me, quale padre dei tuoi figli?”, le chiederà. E lei: “ho visto la tua testardaggine, ho capito che sei una persona che quando inizia qualcosa, la porta avanti comunque, fino a terminarla. Dunque ero certa che, prima o poi, ce l’avresti fatta”.

La crisi delle Tigri asiatiche

Nel 1993 nasce Do Won: fiocco azzurro in casa Park. La famiglia coreana alla fine dell’anno successivo lascia Carrara per stabilirsi a Pietrasanta (dove metterà radici). Negli anni carrarini, Eun Sun non familiarizza con i propri colleghi, in special modo con quelli coreani: una comunità abbastanza numerosa che più volte cerca di coinvolgerlo per unire le forze e proporre mostre collettive. Motivazioni comprensibili ma che sono all’opposto della visione di Park, convinto che unirsi per avere più forza sia atteggiamento sterile e moralmente scorretto. Risultato, Eun Sun si isola e viene isolato, in special modo dai suoi connazionali. Rigore, ostinazione, inflessibilità: in bilico tra pregio e difetto, è su questa linea che il giovane scultore coreano imperterrito prosegue: l’unico a non fare anticamera dai galleristi e neppure a bussare alle porte dell’ambasciata coreana in Italia. Ambasciata che, infatti, per quasi un ventennio non saprà neppure della sua esistenza... E solo pochi anni fa, ad un cambio di vertice della delegazione coreana di Roma, la fama di Eun Sun farà sì che il nuovo ambasciatore chieda di poterlo conoscere. Tre anni dopo il trasferimento a Pietrasanta, una crisi finanziaria gravissima colpisce molti paesi dell’Asia, Corea compresa. Al cambio, il won sudcoreano (la valuta dei risparmi della famiglia Park) improvvisamente perde oltre metà del proprio valore. È tempo di prendere una decisione drastica e dolorosa. Il marito resterà per lavorare in Italia. Mentre la moglie e il figlio, almeno per il momento, torneranno in Corea. La famiglia vola a Seoul, Eun Sun accompagna Kyung Hee e il piccolo Do Won, per trovare loro una sistemazione; nel frattempo gira per le gallerie della capitale, proponendo il portfolio dei propri lavori. La Park Ryu Sook Gallery di Seoul s’accorge della genialità delle opere di questo sconosciuto scultore e gli propone di realizzare una mostra. Anche in ragione di questi impegni inattesi, che danno un po’ di respiro alle finanze della famiglia, Eun Sun trascorre alcuni mesi in Corea: sua moglie lavora part time, insegnando, mentre lui si occupa del loro bambino, portandolo ai giardini ogni mattina. Ma i vicini di casa iniziano a chiacchierare su questo giovane padre, che loro immaginano essere stato licenziato da qualche azienda travolta dalla depressione... Park capisce allora che deve tornare al più presto in Italia, dove peraltro ha lasciato quasi tutti i suoi attrezzi. Mancano però i soldi del viaggio ed un reddito minimo, per aver di ché vivere. Chiede alla galleria che ha in mostra i suoi lavori, ma la crisi è generalizzata e riesce ad ottenere, nonostante la magnanimità dei suoi interlocutori, non più di metà di quanto richiesto.

Stringendo i denti

Affrontando molti sacrifici, Park riesce ugualmente a tornare in Italia. Col peso di non poter riunire la famiglia, seguirà un periodo di lavoro leopardianamente matto e disperatissimo: alle cinque della mattina è già in laboratorio e ne esce alle sette di sera. Due ore dopo è a letto, per ricaricarsi ed essere pronto, prima dell’alba, a ricominciare. Una¬¬¬¬ domenica, Eun Sun prende atto che, in capo ad una settimana, non avrebbe avuto più neppure i soldi per mangiare. Si reca ugualmente in laboratorio e viene raggiunto da una visita del tutto inattesa: una coppia di fiorentini inizia a fare domande sulle sue opere e a chiederne il costo. Innervosito e scoraggiato, Park risponde bruscamente, al punto che i due si allontanano, stizziti. Dopo circa due ore tornano e acquistano una sua opera, così permettendogli di potersi mantenere per qualche mese. Si tratta dei primi clienti italiani di Eun Sun... In futuro diventeranno suoi buoni amici. Alcune settimane dopo, sempre di domenica, compare davanti al laboratorio una macchina con targa britannica. Sono galleristi e per conto di un loro cliente desiderano acquistare due opere di Park. Ma le opere terminate sono tutte chiuse in un magazzino e Eun Sun non ne ha le chiavi. Loro gli assicurano che torneranno il giorno successivo per acquistare e – con suo grande stupore – manterranno la parola. Ancora una volta, quando il portafogli è quasi vuoto, la provvidenza invia una parziale soluzione... E’ la vita – commenta oggi lo scultore – che pare ogni volta averlo messo alla prova. Stesso copione, un giorno d’estate, con un giovane tedesco in ciabatte che raggiunge in bicicletta il laboratorio e promette con toni assai poco credibili di tornare il giorno successivo per acquistare un’opera impegnativa (e costosa) di Park. Così accadrà: si ripresenterà – ma questa volta a bordo di un’auto lussuosa – e terrà fede al proprio intendimento.

Il successo

Park non ha mai avuto un proprio biglietto da visita. Alcuni anni fa, un suo amico ha voluto fargliene dono, ma sono ancora lì, intonsi. Dal 1997 al 2000 vive da solo, in Italia, mentre suo figlio sta crescendo in Corea. Eun Sun per anni osteggerà la predisposizione del figlio verso l’arte, e questo sarà motivo di diverbi con la moglie. “La povertà deve finire con me”, dice. Per il futuro del suo primogenito, il padre sogna qualunque occupazione, basta che non sia quella d’artista. Otto anni dopo Do Won, nascerà Do Ui, in una situazione economicamente assai più favorevole. E Park, che mai in altri frangenti ha cambiato la propria filosofia di vita, la propria linea, si ammorbidirà nei confronti dei figli, non precludendo più la possibilità di uno sbocco in ambito artistico. Il mondo si accorge di Park lentamente. Le spigolosità caratteriali, l’orgoglio, una correttezza estrema di foggia antica, mal s’accoppiano col mondo del business (anche quello dell’arte). La svolta porta un cognome importante ed un nome, Luca. È lui il più grande benefattore dell’artista coreano. Già presidente di una nota azienda di veicoli industriali, conosce le opere di Park e se ne innamora. Lo invita a cena – nella sua villa costellata di opere d’arte – e gli commissiona diverse sculture. Il rapporto si fa più confidenziale, il collezionista continua ad acquistare sue creazioni ed a presentargli nuovi clienti. È lui a suggerirgli di fare rientrare in Italia la moglie ed il figlio, garantendo la vendita delle sue opere. Nella primavera del 2001, quindi pochi mesi prima della nascita di Do Ui, un altro incontro importante: Park si reca in Giappone in occasione dell’inaugurazione di una mostra del suo celebre collega toscano Giuliano Vangi (che egli ammira moltissimo). È in questa occasione che, nella città di Mishima, conosce un gallerista di Milano, Nicola Loi. Quest’ultimo già apprezza l’opera di Park: l’incontro è l’inizio di una lunga amicizia (che perdura) basata sulla reciproca stima. Attraverso il gallerista milanese, le sculture di Park saranno esposte a Torino, Milano, Alba, Roma e Firenze. Il nome decolla, la voce si sparge tra i collezionisti in Europa e non solo. Con alcuni si instaurano rapporti amicali, come una coppia olandese che, attraverso lo scultore coreano, s’innamora anche di Pietrasanta, al punto da scegliere la località versiliese per il matrimonio della loro figlia. Ed è Pietrasanta che, nel 2007, propone a Park una grande mostra monografica presso il celebre parco “La versiliana”. Pur non avendo mai bussato alla porta dell’amministrazione comunale della “Piccola Atene”, alla fine è il Comune stesso a cercarlo e a onorarlo. Un rapporto di stima che via via si fa sempre più stretto, fino a quando, nel 2020, Pietrasanta annuncia di aver deliberato, con voto unanime, di insignire Park Eun Sun della cittadinanza onoraria... Un riconoscimento che lo affianca a due suoi colleghi legati alla celebre città d’arte, Fernando Botero e Igor Mitoraj.

Orientale, occidentale

La formazione e la forma mentis sono coreane al cento per cento. E però, per gli orientali l’arte di Park è schiettamente occidentale, anzi italiana, anzi toscana, mentre per l’Europa e gli Stati Uniti l’arte di Park è schiettamente orientale. Trovare una collocazione stilistica è probabilmente esercizio sterile, poiché ci sono indizi che portano verso entrambe le direzioni, dalla predilezione per il marmo bicolore alla poesia dei vuoti che coinvolgono lo spazio esterno. Le sue colonne marmoree non solo si fanno guardare ma propongono un punto di vista nuovo del contesto, rinnovano quanto le circonda, perché il panorama entra nelle ferite del marmo e viene coinvolto in una prospettiva di bellezza. Spaccare: è un termine che Park utilizza spesso, quando racconta la propria arte. Il suo lavoro chiede solitudine e sembra essere nutrito dalla sofferenza: non una scelta, un’esigenza. Rompere, e poi fare della ferita un’opera d’arte, è il percorso obbligato della sua espressività, della sua rivincita. È il suo respiro. Respiro – la metafora è sua – che gli permette di esistere, respiro che è sollievo, consolazione. Park forza la materia e nelle sue fessure ritrova aria per respirare e luce per vedere. Se non avesse trovato questa soluzione espressiva – ne è convinto – avrebbe forse cambiato mestiere, o ne sarebbe addirittura morto, per lo stress accumulato. Eppure, per molti colleghi, soprattutto in Corea, è stato difficile comprendere un lavoro che andava in direzione opposta, rispetto al concetto di purezza del marmo levigato e intonso. L’Italia è la sua seconda patria, la sua prigione per scelta. Molti dei 27 anni che ha trascorso in Toscana sono stati alimentati dalla fiamma di un rovello: l’artista ha sempre cercato di mettere a fuoco il proprio tratto, di intonare la propria voce espressiva, con una volitività e una intransigenza che sono moneta preziosa, ma che si paga sempre di persona. Senza concedersi scorciatoie, Park silenzia la propria angoscia lavorando, e in un circolo insieme virtuoso e vizioso, la sofferenza genera bellezza e, nella pietra spaccata e ricomposta, si ricostituisce l’armonia, frutto dell’atto creativo. Eun Sun a trent’anni pensa ai propri quarant’anni, a quaranta ai suoi cinquanta ed oggi ai suoi sessanta. Ogni volta proietta il proprio sguardo di un decennio, nella volontà di non “arrossire di vergogna” se gli venisse chiesto conto delle proprie produzioni artistiche di quand’era dieci anni più giovane. In ogni scelta, dal materiale che ha eletto protagonista della sua voce scultorea alla fermezza nell’essere sempre e comunque un outsider, Park ha privilegiato la via più lenta, quella più sdrucciolevole. E il tempo gli ha dato ragione.

La luce dentro la pietra

Di recente, l’arte di Park segna un cambio di passo: non si tratta di una svolta, poiché non rinnega la propria cifra espressiva, viceversa la incrementa... La tecnologia nel frattempo è in grado di supportare meglio le sfide creative dello scultore coreano ed è così che nascono le colonne di sfere marmoree svuotate ed illuminate: vere e proprie acrobazie della materia che ci raccontano l’eternità classica del marmo e le sue infinite sfumature, attraverso un sole artificiale che il demiurgo pone al loro interno. Anche il bronzo ha trovato uno spazio, nella produzione artistica di Park Eun Sun. La duttilità di questa lega, la sua replicabilità gli permette di realizzare creazioni che non solo una élite può possedere. Mantenendo il suo colore naturale, anche il bronzo garantisce una propria “verità”, una bellezza e un’armonia che non è così distante da quella, comunque privilegiata, del marmo. La sfida che compendia la poesia visionaria espressa nella carriera di Park, egli stesso così la riassume: misurarsi con un materiale antico – la pietra – per esprimere qualcosa di nuovo, attuale, moderno. Ha scelto di spaccare, poi di incollare. Oggi esistono adesivi che durano più di una vita, ma un quarto di secolo fa non era così. E Park metteva in conto la necessità di riparare, rincollare, attendendo che il progresso si adeguasse (come poi è accaduto) alle proprie esigenze. Per anni, quando forava, venava, spaccava le pietre, tanti erano i colleghi a non capire, a non apprezzare, perfino a schernire. Park ha caparbiamente proseguito, nella volontà di essere contraffatto semmai, ma mai di contraffare, mai di proporre idee che non fossero sue, frutto di distillazione d’una vita a scoprire cosa c’è, dentro al marmo. A proprio merito, dice, una grande ostinazione. Appunto: ostinato come il marmo. Come il marmo, freddo ma caldo, cristallino, inflessibile, brillante.

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